Dopo lāinterpretazione del luminator che ha dato vita a Chiaroscura, Alberto e Francesco Meda tornano a reinterpretare un classico della luce per Foscarini, lo chandelier.
Dopo lāinterpretazione della storica Luminator disegnata da Pietro Chiesa nel 1933, che ha dato vita a Chiaroscura, Alberto e Francesco Meda tornano a reinterpretare un classico della luce per Foscarini, lo chandelier. Lo fanno lavorando, ancora una volta, con estrusi di alluminio e integrando lāelemento luminoso allāinterno del corpo stesso della lampada, concedendosi anche un divertissement decorativo ottenuto impeccabilmente grazie al gioco di incastri tra la fonte luminosa e il sostegno.
PerchƩ, secondo voi, Foscarini vi ha chiesto di collaborare a questo progetto?
«Sicuramente Foscarini cercava una pluralità di mani e sguardi da impegnare sul tema della sperimentazione intorno al tema dello chandelier. Rispetto agli altri designer ingaggiati (Francesca Lanzavecchia e Dordoni Studio, ndr), la nostra forza penso sia insita nella ricerca di innovazione a partire dal dialogo tra materiali e tecnologie, interpretando in chiave contemporanea la tradizione senza stravolgerla nella sua essenza».
Da progettisti, qual era lāinteresse in questo progetto?
«Ci piace lavorare su tipologie rimaste immutate nel tempo. Lo abbiamo fatto con Chiaroscura, e lo stesso vale per lo chandelier, un oggetto studiato e reinterpretato infinite volte, ma sempre con un approccio basato sul decoro e sulla molteplicità delle fonti luminose. Noi, invece, abbiamo scelto di affrontare la sfida da una prospettiva opposta».
Quale?
Ā«Siamo partiti chiedendoci cioĆØ dove ci avrebbe portati la tecnologia per lāilluminazione contemporanea, cioĆØ i LED che offrono nuove opportunitĆ che permettono di lavorare sulla qualitĆ della luce e sulla sua distribuzione. Ci siamo chiesti, allāinterno della tipologia del lampadario importante e centro stanza quale fosse la forma più essenziale che i LED permettevano di ottenere. Ne ĆØ uscita lāidea del braccio, con una striscia di LED, che ĆØ stato il punto di partenza del progettoĀ».
Qual ĆØ la chiave di lettura per cogliere la portata innovativa di ASTERIA?
Ā«La forza progettuale di ASTERIA sta nellāintegrazione intima tra struttura e luce.
Come accennato, alla base del progetto cāĆØ il braccio, un estruso di alluminio con una sezione a V, caratterizzato da un lato corto verticale e uno lungo che si estende orizzontalmente, curvandosi. La luce viene emessa da una striscia LED incassata nella parte superiore del braccio e coperta da una pellicola trasparente, che straborda in modo impercettibile sui lati e permette alla luce di fuoriuscire leggermente. Questo dettaglio rende la fonte luminosa percepibile anche a chi osserva il braccio dal basso o lateralmente.
Il braccio, che funge sia da struttura che da diffusore, ĆØ collegato a un cilindro centrale verticale. Sei braccia formano un livello dello chandelier, con un massimo di tre livelli sovrapposti in modo sfasato.
Quando acceso, ASTERIA emette luce in più direzioni: verso lāalto, in modo radiale grazie alla sovrapposizione dei livelli, e con una sottile linea luminosa quasi grafica dove il LED fuoriesce leggermente da ogni singolo braccio. Inoltre, se posizionato sopra un tavolo, fornisce anche luce diretta, grazie a unāulteriore fonte luminosa posta nella parte inferiore del cilindro centraleĀ».
Raccontato così sembra un lampadario modulare. à così?
Ā«SƬ, ogni livello può esistere indipendentemente come lampada a sospensione. La modularitĆ quindi cāĆØ anche se, per mantenere una certa coerenza progettuale, le diverse configurazioni saranno proposte dallāazienda, nellāofferta di una certa varietĆ estetica e funzionaleĀ».
Come siete arrivati a una ridefinizione cosƬ essenziale del lampadario?
Ā«Cercavamo unāevoluzione del concetto. Abbiamo lavorato sul braccio come elemento centrale, integrando la luce nella struttura. Inizialmente volevamo creare una struttura più rigida e lineare, ma ci siamo resi conto che risultava troppo fredda. Abbiamo quindi introdotto curvature e una disposizione più dinamica dei bracci per rendere il progetto più armonioso e contemporaneoĀ».
Nello sviluppo del progetto, insieme a Foscarini, c’ĆØ stata un’evoluzione significativa rispetto al concept iniziale?
Ā«SƬ, soprattutto nell’idea di “spettinare” la composizione per evitare un’estetica troppo rigida. Questo ĆØ stato un contributo dell’azienda, che ha voluto dare maggiore dinamismo all’oggettoĀ».
Come si capisce quando un progetto ha trovato il giusto equilibrio tra rigore e morbidezza?
«à un processo di affinamento continuo. All’inizio c’ĆØ sempre un rischio, ma man mano che si ricevono feedback dalla sperimentazione, si inizia a percepire se la soluzione funziona. Per questo lāaffinitĆ tra designer e azienda ĆØ cosƬ importanteĀ».
Cosa definisce la contemporaneitĆ oggi?
Ā«Vuol dire fare cose semplici ā cioĆØ risolte ā dal punto di vista costruttivo e in cui le tecniche o le tecnologie che sono state utilizzate per ottenere quel risultato non sono esibite. Significa creare quindi oggetti meno connotati che, proprio per questo, possono durare di più nel tempo perchĆ© non soggetti alle modeĀ».
Le mode però ci sono. à un problema?
Ā«SƬ, il rischio ĆØ un’omologazione eccessiva. Decenni fa lāelemento distintivo delle imprese italiane era la capacitĆ di evolvere, mettere a punto pezzetti di conoscenza che poi altri ereditavano e portavano avanti. Oggi questa cosa ĆØ rarissima e la conseguenza ĆØ che quello che viene presentato alle fiere come novitĆ ĆØ tutto molto uguale: quando qualcosa funziona commercialmente diventa subito un template da ripetere con o senza varianti. Lo stesso accade con i classici, riproposti allāinfinito perchĆ© sono sicuri e commercialmente efficaciĀ».
La mancanza di innovazione e il passatismo ĆØ un problema solo per gli appassionati di design?
Ā«Noi pensiamo che diventerĆ un problema per le aziende. Soprattutto quelle piccole o giovani ā che non hanno un heritage a cui attingere e copiano le forme e il flair dei classici invece di inventare qualcosa di personale e significativo. Quando il mercato sarĆ saturo, avranno un problemaĀ».
Alberto, hai detto che il design aggiunge un pezzo di conoscenza al preesistente. Come si fa a perseguire questo obiettivo?
Ā«Bisogna essere curiosi degli sviluppi scientifici e tecnologici, senza cadere nella celebrazione della tecnologia fine a se stessa. Il design deve saper cogliere il valore innovativo della tecnologia e trasformarlo in un vantaggio funzionale ed estetico. Per esempio, tornando al tema dei classici rivisitati, ĆØ un esercizio che ha senso se si aggiunge al progetto originale quello che viene dalla ricerca in materiali più sostenibili, un settore in cui vedo che ā effettivamente ā molte aziende sono impegnateĀ».
Cosa vedete nel futuro dell’illuminazione?
«Gli OLED potrebbero rappresentare una vera rivoluzione. Si tratta di sorgenti luminose puntiformi che, sebbene ancora relativamente costose, offrono grandi possibilità per i designer grazie alla loro capacità di emettere luce da una superficie piatta. Questa superficie può persino essere flessibile, simile a un tessuto, aprendo scenari inediti e variegati che meritano senza dubbio di essere esplorati».
Luce che non ĆØ solo funzione, ma presenza, carattere, espressione.

